Crisi economica: con la pancia piena si protesta meno

La corsa verso la sicurezza economica, verso investimenti anche di tipo speculativo, va ad impattare anche i prezzi di materie prime, quelle che davvero servono per la vita di tutti i giorni. Ad esempio, quelle alimentari, dove ci sono stati degli aumenti molto forti che hanno creato anche gendi sommovimenti politici nel mondo.

Con le Borse in continua altalena di titoli si stato in molti Paesi sempre più a rischio, c'è un mercato che agli investotori fa sempre più gola, quello delle materie prime. Non tanto il petrolio, troppo esposto ai cicli economici, si consuma di più quando l'economia cresce e di meno quando arriva la crisi, quanto quello delle cosidette break commodities,  ciò che serve per la prima colazione e che è utilizzabile dappertutto: materie prime come cereali, zucchero, riso e thè, beni di cui nessuno, nemmeno i Paesi in via di sviluppo, riesce a farne a meno: troppo essenziali e quindi per definizione sicuri.

L'allarme, un paio di settimane fa, l'ha dato il Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, Prezzi elevati e scorte alimentari ridotte, ha dichiarato, indicano che siamo ancora in clima di pericolo. Gli indici dei prezzi nel mese di luglio hanno segnato in effetti un più 33% rispetto ad un anno fa, a livelli vicinissimi ai picchi del 2008, e anche i futures sulle materie prime alimentari trattati alla Borsa di Chicago sembrano indicare una crescita costante per i prossimi mesi. Anche 3 anni fa, d'altro canto, la crisi dei mutui subprime spinse molti investitori a puntare sugli alimentari. A portare in alto i prezzi ora sono sopratutto l'impennata del mais, cresciuto dell'84% in un anno, dello zucchero, del 62% rispetto al 2010. Colpa anche del mercato dei biocarburanti che fa salire i prezzi di cereali e canna da zucchero utili a produrre più etanolo.

Quanto al riso, che l'Italia produce in gran quantità, tanto d'avere  una Borsa per le quotazioni a Vercelli, la decisione annunciata in questi giorni dal governo della Thailandia, primo produttore al mondo, è comprarlo a prezzi superiori a quelli di mercato per sostenere l'agricoltura nazionale, potrebbe presto farne lievitare le quotazioni, così nonostante  i raccolti migliori di un anno fa, l'autunno che sta arrivando potrebbe portare con sè una nuova crisi alimentare. Lo scorso anno un'impennata dei prezzi delle derrate fu una delle cause scatenanti  delle rivolte nel Maghreb, oggi hanno come effetto tangibile la carestia che sta colpendo la Somalia, flagellata dal colera, e molti altri paesi africani, tanto è vero che per scongiurare una nuova ondata di malcontento alcuni regime stanno correndo ai ripari. E' il caso  dei regni della penisola arabica, da quello saudita fino agli Emirati arabi. In molti casi sono gli stessi  fondi sovrani ad acquistare per pochi barili di petrolio, intere risaie nel sudest asiatico o fattorie nell'Africa nera, dal Sudan alla Tanzania.

L'obiettivo? Avere rifornimenti costanti: con la pancia piena si protesta meno.

Immagine: shutterstock.com

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