Indiani d'America: maxi-risarcimento per lo spreco delle risorse delle loro terre

Una tribù indiana contro l'Amministrazione di Washington.

Sebbene le amministrazioni Bush e Clinton abbiano combattuto la querela, il governo degli Stati Uniti dovrà pagare agli indiani d'America 3,4 miliardi di dollari a mo' di risarcimento, dopo una lunga causa civile sulla cattiva gestione del denaro del governo sui territori indiani.

Il giudice federale Thomas Hogan, ha confermato le ragioni di una pellerossa, Elouise Cobell, di 65 anni, membro della tribù dei Blackfeet del Montana, che guida da 15 anni una class action (causa collettiva) contro il Dipartimento degli Affari indiani, accusato di sprecare sistematicamente da oltre un secolo le risorse naturali di proprietà dei nativi (petrolio, minerali, legno o  pascolo...).

"L'accordo non è perfetto," sostiene Elouise Cobell: "Non credo che compensa tutti i danni subiti, ma penso che sia giusto ed è ragionevole."Una parte dell'indennizzo andrà in borse di studio per studenti, mentre un miliardo e mezzo di dollari andrà a  300mila persone coinvolte nella causa. Una fetta importante sarà utilizzata per riacquistare appezzamenti di terra indiana che era stata divisa tra più parti.


Già in passato il Congresso aveva espresso le proprie scuse per il massacro del Sand Creek e il presidente Clinton fece il mea culpa parlando addirittura di genocidio.

Era il 29 novembre del 1864 e Cheyenne e Arapaho stavano per perdere la loro libertà per sempre. In quell'autunno gli indiani parteciparono col governatore del Colorado John Evans, alla conferenza di pace e in quell'occasione fu loro suggerito sul come sistemare il  villaggio sulle rive del fiume Sand Creek. Lo fecero disciplinamente alzando finanche la bandiera degli States sulle loro tende.
In quel periodo però governava il Presidente Andrew Johnson, 17° Presidente degli Stati Uniti, colui che disse: "Se il selvaggio oserà resistere, la civiltà con i dieci comandamenti in una mano e la spada nell'altra imporrà la sua immediata eliminazione"

E tanto per non farsi mancare niente, a quel tempo c'era in circolazione un emerito idiota, il colonnello-cappellano John Chivington (nella foto) che disse alla gente di un buco di paese di minatori, Denver City: Sono venuto a uccidere gli indiani e credo sia giusto e onorevole usare qualsiasi mezzo Dio ci abbia messo a disposizione".

Fu così che con 750 volontari del Colorado, questo dissennato religioso graduato attaccò il villaggio indiano lungo il  Sand Creek. Il capo Antilope Bianca, sentendosi tradito, affrontò il nemico che credeva amico, restando a braccia conserte e intonando un canto cheyenne che dice "niente vive a lungo, solo la terra e le montagne". E fu massacrato tra i primi. E' ancora oggi una delle pagine più ignominiose della storia degli States: le giacche blu squartarono e scalparono perfino una bambina di sei anni con in mano una bandiera bianca. E gli scalpi dei Cheyenne vennero portati fino a Denver City, dove le prostitute del bordello (ne nascevano come funghi ovunque ci fosse una miniera) avevano promesso amore gratis a chi le avrebbe pagate con le capigliature sanguinanti dei selvaggi.

Ma quelli erano altri tempi, tant'è che ieri l'altro, nel salutare positivamente la conclusione della vicenda promossa dalla pellerossa, il presidente Obama ha detto che la decisione "segna un altro importante passo avanti nel rapporto tra il governo federale e del Paese indiano e che le terre dovranno tornare agli indiani in maniera rapida e onesta".

Non solo gli Stati Uniti tentano di sanare le ferite del passato. Già lo hanno fatto i canadesi tre anni fa, e in quell'occasione il Primo Monistro Harper chiese scusa alle tribù canadesi parlando loro in tutte le loro lingue.

Negli Usa i nativi sono 2 milioni e mezzo, meno dell'1% degli americani. Nel passato furono sconfitti anche perchè divisi e infatti la tribù dei Sioux ha duramente criticato l'accordo di Washington coi Piedi neri.

Con il contributo di un articolo di Cesare Fiumi, Corsera -

Immagini:  blingcheese.com - nativeskins.tumblr.com - en.wikipedia.org/

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