Il lato oscuro del progresso: "we have the energy"

"We have the energy" dice un cartello all'ingresso di Fort McMurray, nello stato dell'Alberta, Canada, la più grande città in quella che un tempo era la terra degli Athabascan, popolo giunto dall'Asia 35 mila anni fa attraverso lo stretto di Bering, insediatosi in queste fredde terre dove l'inverno il termometro scende anche a meno 35.

Fort McMurray, popolato da circa 80 mila anime, è situato fra la foresta boreale e la confluenza di quattro fiumi, e fa parte del comune di Wood Buffalo, una delle più vaste aree comunali dell'America del Nord. Ebbene, questo luogo, teatro della nuova corsa all'oro nero, che in tempi recenti ha visto fare colossali investimenti nell'industria petrolifera, è stato ribattezzato dalla stampa locale Fort McMoney.

Giust'appunto sei anni orsono, con il prezzo del petrolio alle stelle, in questi territori che un tempo erano un paradiso incontaminato dei nativi americani, nella vasta regione denominata Athabasca Oil Sands, si è cominciato ad estrarre massicciamente dirty oil, cioè petrolio di pessima qualità (visto che è misto con sabbia) e con difficoltà di raffinazione quasi insormontabili. Subito le industrie petrolifere Shell, Exxon, Chevron, Total ma anche le cinesi Cnoc e Sinopec, hanno aperto 15 miniere a cielo aperto, andate a sommarsi alle due aziende petrolifere locali, la Suncor e la Syncrude, dove sono stati investiti ben 30 miliardi di dollari, destinati a diventare 150 nel prossimo decennio, con l’apertura di nuove strade, costruzione di oleodotti e raffinerie che, entro il 2015 dovrebbero essere in grado di coprire il 20 per cento del fabbisogno nordamericano. La maggior parte del petrolio statunitense non proviene dall'Arabia Saudita o dal Venezuela, ma viene importato dal suo vicino a nord, il Canada, che possiede un terzo del petrolio mondiale proveniente dalle Tar Sands di Alberta.

Difatti, a differenza dei paesi arabi, dove la presenza dell'oro nero lo si nota dalle torri di perforazione (oil derricks), qui a Fort McMurray ma anche a Fort Chipewyan, 260 km a nord di Fort McMurray e 702 km a nord-est della capitale provinciale di Edmonton, quello che non passa inosservato sono proprio le sabbie bitumose (Tar Sands), che nello stato dell'Alberta occupano 141mila chilometri quadrati di foresta boreale, il più grande ecosistema del mondo, il quale a causa del frenetico sviluppo in corso va distruggendosi ad un tasso sin troppo rapido da essere immaginato, inquinando l'aria, avvelenando l'acqua, rendendo il tutto come uno dei peggiori reati ambientali sulla terra.

Le emissioni di CO2 prodotte dall’estrazione del petrolio dalle Tar Sands è responsabile del 4 percento delle emissioni di anidride carbonica dell’intero Canada, e triplicheranno al 12 per cento nel 2020. Secondo i numeri di Greenpeace in un anno si aggirano attorno ai 140 milioni di tonnellate: due volte i gas emessi da camion e macchine in tutto il Canada.

Oltre ciò, secondo alcuni studi, nello spartiacque a valle della sabbie bituminose, sono stati trovati alti livelli di arsenico, mercurio e idrocarburi policiclici aromatici (ipa) . Gli idrocarburi policiclici aromatici sono sostanze d’origine naturale che si formano ogni qualvolta dei composti contenenti carbonio vengono bruciati a temperature ridotte e in condizioni controllate. Essi sono presenti in natura nel petrolio greggio e nel carbone e, dato che si formano facilmente e sono stabili, si accumulano nelle fasi iniziali dei processi di cracking e di distillazione. E poiché alcuni di essi si sono dimostrati cancerogeni per gli animali, è ragionevole supporre che possano esserlo anche per gli esseri umani.

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