Il lato devastante del land grabbing
Si chiama land grabbing, ovvero saccheggio del territorio. Un fenomeno crescente in Africa ma anche in altre zone svantaggiate del mondo in cui le popolazioni non riescono a fermare la posizione straniera delle proprie risorse.
Adesso però sta nascendo una nuova consapevolezza e persino i popoli indigeni di Panama cercano di ribellarsi.
Violazione dei diritti unami, mancanza di assenso libero e preventivo e poi contratti iniqui, affitti irrisori, vendita di terreni in cambio di promesse di posti di lavoro e nuove infrastrutture ma anche assenza di studi adeguati sull'impatto ambientale. Dietro al "land grabbing", l'accaparramento di terre nei paesi a sud del mondo c'è tutto questo. La corsa all'acquisto senza regole sale nel biennio 2007-2008 per la crisi dei prezzi, ma le multinazionali, solamente in Africa, dal 2000 ad oggi si sono aggiudicate una superficie pari a 8 volte la Gran Bretagna.
Il land grabbing fa male a tutti ed è un esempio di un egoismo anche economico. Sono soprattutto Cina ed alcuni paesi arabi che hanno petrolio ma non hanno terra agricola, e ultimamente anche il Brasile, che ha esigenza di complemento delle sue colture, vanno in paesi poveri, comperano o affittano grandi estensioni di terreno e si mettono a produrre lì quello che per diversi motivi non possono produrre a casa loro.
Quello che manca in questo fenomeno è una presenza di comunità locali nella negoziazione nei progetti con le multinazionali del cibo e dei biocarburanti. Chi acquista, non considera l'esigenza delle popolazioni sul territorio e contratta solo con il governo centrale, tanto che nella migliore delle ipotesi a beneficiarne è solo una piccola elite di privilegiati, molto spesso corrotti. Così accade che interi villaggi vengono espropriati senza nulla in cambio e spostati con forza in campi ghetto, con grandi ripercussioni sia nel tessuto sociale che in quello lavorativo.
In quello che le Nazioni Unite definiscono neocolonialismo a fare da padrone è la Cina. I cinesi usano quantità di concimi elevatissimi, sono recordmen al mondo dell'uso di concimi quindi forzano la produzione. Questi paesi poveri, che hanno dei modelli alimentari semplici, non hanno i soldi per potersi permettere i concimi. I cinesi arrivano, s'insediano nelle terre acquistate o prese in affitto, producono coi concimi ciò che occorre loro e poi portano verso la loro madre patria.
Questa, dal punto di vista dei cinesi, è una soluzione che guarda avanti e assicura in tal modo il loro futuro. Dal punto di vista delle popolazioni locali, ovviamente, è un grossissimo guaio.
Nel 2010 la FAO ha chiesto ufficialmente ai governi africani di arginare le vendite massicce di terre, causa dirette di tensioni sociali e di aumento della povertà. Ma la corruzione dilagante, l'assenza di regole internazionali hanno fatto cadere l'appello nel vuoto. Non c'è nessuna legge che assicuri nè l'impiego dei lavoratori locali nelle multinazionali nè la presenza delle merci prodotte sul mercato nazionale. Solo nel Congo esistono 100mila piccole microaziende agricole a rischio esproprio eppure nella ricca regione mineraria del Katanga, nonostante lo spettro del neocolonialismo che avanza sono in vendita 14 milioni di ettari di terreni coltivabili e gli studiosi avvertono: "la carestia nel Corno d'Africa dove è a rischio la vita di 12 milioni di persone è uno degli effetti più evidenti di questo saccheggio senza regole".
Non è migliore la situazione in Centro e Sud America: gli indios dell'Amazzonia da anni si battono contro i tagli indiscriminato delle foreste sostituite da colture internazionali che neanche conoscono e da autostrade che ne traffiggono l'habitat. Accade in paesi neocolonialisti come il Brasile ma anche in Venezuela, Bolivia e Colombia.
Ultimamente un documentario trasmesso da Al Jazeera ha mostrato la più grande tribù indigena di Panama, gli Ngäbe-Bugle, che si trova sulla costa nord-ovest, vicino a Costa Rica, che ha indetto una lotta contro il governo, che dopo la realizzazione della diga Chan-75 (nell'immagine)che ha sommerso un'intera comunità Ngobe c'è ora in corso la costruzione della centrale idroelettrica Barro Blanco, che toglierebbe di mezzo, inondandola, anche una scuola dove ai bambini s'insegna a leggere e a scrivere nella lingua della tribù.
Parte della foresta pluviale e le capanne di questa tribù, che per secoli è vissuta isolata dal mondo, verranno sacrificate sotto ettolitri ed ettolitri di acqua. Purtroppo la scoperta di preziosi minerali nel sottosuolo e quello che Panama dichiara come crescita economica ecosostenibile hanno messo parola fine a quella pace durata forse fin troppo. Ma la tribù non demorde, e nonostante lotte, saccheggi e stupri a donne indigene da parte della polizia, loro chiedono di essere ricevuti dal presidente panamense Ricardo Martinelli, che fino ad ora non l'ha fatto.
Ma grazie alla loro insistenza e al fatto che la storia dei Ngäbe-Bugle adesso è conosciuta nel mondo, forse potrebbero anche salvarsi. Noi tifiamo per loro!
Immagini: horn-africa.blogspot.com - intercontinentalcry.org
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