Rifiuti: una questione che va presa sul serio


Prendendo spunto da un interessante articolo sul Guardian mi accingo ad entrare nel pianeta rifiuti in punta di piedi, cercando di capirci qualcosa di più di quanto ne sappia oggi.

Questo post è il primo di una serie sulla questione rifiuti.

Partiamo dal fatto che la Commissione europea, prima prende degli impegni restrittivi su discariche, emissioni e rifiuti e poi fa marcia indietro, spostando più in là le date di attuazione di un ambizioso insieme di promesse legislative (compresa la graduale eliminazione dell'utilizzo di discarica per rifiuti riciclabili e l'impegno a ridurre gli sprechi alimentari del 30% entro il 2025), sostenendo che fossero obiettivi troppo impegnativi.

Come sappiamo, alla base della gestione rifiuti ci sono i cittadini e le istituzioni. Queste ultime forse affrontano la questione con un alone di leggerezza/ignoranza misto alla complicità di interessi e tecnologie portati avanti ignorando il bene comune. Da parte dei cittadini invece, c'é bisogno di una maggiore presa di coscienza, perché l'abbandono irresponsabile dei rifiuti causa danni ambientali a catena e la perdita di risorse che comunque sono limitate.

A livello globale metà del cibo che produciamo viene buttato via ogni anno, ma le nuove tecnologie potrebbero cambiare il nostro atteggiamenti nei confronti della spazzatura.

Forse è giunto il momento di prendere impegni che abbiano un tenore dirompente tale da scuotere il settore e il pessimismo di coloro che non riescono a combinare nulla di buono. Se c'è una cosa su cui tutti gli esperti di rifiuti sono d'accordo, è che il modello lineare di smaltimento dei beni su cui abbiamo costruito la nostra società ha fatto il suo tempo. Con il modello di economia circolare basato sulle tre “R”: tessere i nostri sistemi economici in un unico e armonioso insieme di riciclaggio e riutilizzo, non è un compito facile. Si richiede una massiccia revisione del modo in cui i rifiuti sono concepiti. Anche la parola "spreco" viene caricata: "lo spreco" non è in realtà materiale sprecato ma è un bene prezioso. E le prime che debbono riconoscerlo sono le aziende di gestione dei rifiuti. In inglese waste vuole dire spreco o rifiuto ed in Italia il No Waste (Zero sprechi) si traduce volutamente Zero Rifiuti, chiaramente c'è chi ci crede, ci conta e porta la bandiera di "Zero rifiuti" che equivale a non cucinare, non viaggiare in macchina, curarsi solo con le erbe etc... osserva Nicola Deiana, persona esperta del settore. Una soluzione equilibrata sarebbe realizzabile senza imporre limiti non più attuabili, perché il mondo comunque si evolve e va avanti. Basta meno di quel che sembra per riuscirci, ma nessuno può essere esonerato da rispettare le regole,  altrimenti  perdiamo definitivamente il pianeta.

Entro il 2025, i produttori di rifiuti "non sapranno seppellire o bruciare la spazzatura dei cittadini come fanno oggi"dice Marcus Gover, direttore del  WRAP, gruppo di difesa del Regno Unito. Queste aziende verranno convertite in quello che si definisce il "settore specializzato in ritrattamento", in cui il loro ruolo centrale non è quello di scaricare materiale ma di restituire "risorse preziose ai produttori".

Un simile ripensamento è richiesto anche ai progettisti e ai produttori. I beni di oggi, dice Gover, devono essere visti come le materie prime di domani. Quando ciò accadrà, i prodotti inizieranno ad essere fatti per durare di più e per essere più facili da riparare e infine smantellare.

Immagine: www.euractiv.com

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