Previsione sugli uragani: ne è stata fatta di strada


Città dilaniate, migliaia di persone sfollate, strade insormontabili e una ricerca dei dispersi e dei morti in macerie che si estende per miglia. Sono gli effetti disastrosi lasciati dall'uragano Michael

È un meteo estremo quello che stiamo sopportando negli ultimi anni, che porta a uragani e tornado devastanti, anche in Europa dove, secondo il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) è previsto l'uragano Leslie che si sta dirigendo rapidamente verso il Portogallo mettendo in allerta anche la Spagna.

Chiunque legga le notizie dopo il passaggio dell'uragano Michael sa quanto può essere devastante un singolo uragano. Quindi non sorprende che, fino a non molto tempo fa, l'enfasi di chi si occupa di previsioni fosse sulle singole tempeste: se si sarebbe formato un uragano, dove si sarebbe diretto e quando emettere un ordine di evacuazione.

foto scattata dall'astronauta Rickey Arnold
Ma oggi, grazie al lavoro di William Gray, che ha sviluppato le prime previsioni degli uragani stagionali basate sui dati nei primi anni '80, i ricercatori sono in grado di pensare collettivamente agli uragani come una serie di eventi collegati, preparandosi ad affrontarli in modo più efficace di quanto si sarebbe potuto fare una generazione fa. 

Sebbene Gray fosse notoriamente scettico sull'idea che gli umani causassero il cambiamento climatico, fu uno dei primi a fare collegamenti tra le variazioni climatiche su larga scala e il numero e l'intensità degli uragani che si formano in una stagione.

Fu lui il primo a notare che l'attività degli uragani nell'Atlantico cadde durante gli anni di El Nino, ipotizzando che ciò fosse dovuto al modo in cui l'aria calda in aumento sopra l'Oceano Pacifico aumentava i venti occidentali sopra l'Atlantico. Quei cambiamenti di direzione e velocità del vento nell'atmosfera superiore - noto come wind shear - possono alterare il processo di formazione delle tempeste. In questo caso, quei venti occidentali sembrano inibire il formarsi degli uragani. 

Fondamentalmente, il clima umido e tempestoso di El Nino in una parte del mondo ha creato un clima più secco e meno tempestoso altrove. "Prima di questo, non aveva senso che gli uragani partecipassero al sistema climatico in modo significativo", ha detto James Elsner,  ricercatore di tornado e uragani alla Florida State University.  "Ecco come abbiamo iniziato." E per questo, dicono gli esperti, il cambiamento climatico andrebbe in parte ringraziato.

Negli ultimi 30 anni siamo diventati più capaci di predire il rischio di uragani, sia in termini di tempeste individuali che di rischio che potrebbe portare un'intera stagione. 

Come ebbi modo di scrivere in un vecchio post, la storia climatica odierna ebbe  inizio a metà degli anni 1970, quando un cambiamento del clima raffreddò le temperature superficiali dell'Oceano Pacifico centrale e riscaldò la costa occidentale del Nord America, portando modifiche a lungo raggio nel Nord. Dopo questo cambiamento climatico, secondo gli studiosi, è iniziata l'era di tempeste e uragani sempre più frequenti e all'aumento delle temperature.

Visivamente, a subirne le conseguenze, sono state le grandi masse di ghiaccio che si staccano dai ghiacciai e dalle piattaforme di ghiaccio galleggianti, andando a vagabondare negli oceani.

Una volta staccatisi dal ghiacciaio o dalla piattaforma, gli iceberg vengono sospinti alla deriva dai venti, dalle correnti e dalle maree. L’erosione operata dal vento e dalle onde e la progressiva fusione a cui vanno incontro spostandosi verso latitudini più calde ne riducono le dimensioni, insieme a ulteriori frammentazioni a causa, per esempio, di violente tempeste o collisioni tra loro o con la terraferma. Il destino degli iceberg è quindi quello di ridursi di dimensioni fino a scomparire, ma la loro vita può essere anche di parecchi anni.

A causa della fusione che subiscono con l’aumentare delle temperature, gli iceberg si osservano soltano ad alte latitudini. Gli iceberg antartici, per esempio, normalmente non si spingono oltre la cosiddetta “convergenza antartica”, una fascia a 45-55 ° di latitudine Sud, ma qualche eccezione è sempre possibile: l’iceberg più “giramondo” mai osservato, nel 1894, si è spinto fino ad una latitudine di 26°30’ Sud, nell’Oceano Atlantico.

Essendo il ghiaccio meno denso dell’acqua, gli iceberg galleggiano sulla superficie marina: la parte immersa è quindi circa sette, dieci volte (a seconda della differenza di densità tra acqua e ghiaccio) più alta di quella emersa. Se si considera che alcuni icerberg possono essere alti, rispetto alla superficie del mare, parecchie decine di metri, si comprende bene come l’appellativo di “montagne di ghiaccio” sia particolarmente indicato: un icerberg che mostra una parete di 30 metri, continua, per esempio, sotto il livello del mare, fino a una profondità di più di 200 metri...

Immagini: blogs.discovermagazine.com  - znanio.ru

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