L'amuleto della libertà 3 - racconto sul web


PARTE PRECEDENTE

D’un tratto, la quiete del luogo fu scossa dal rumore assordante di un clacson che si udiva sempre più vicino. Fatti pochi passi Truman raggiunse il robusto portone realizzato con vecchie travi di quercia e dal piccolo pertugio poté dare un'occhiata all'esterno. Di sopra alcuni ragazzi corsero ad affacciarsi, mentre altri raggiunsero il cammino di ronda. La signorina Martin, presentendo che potesse essere Donald, tirò un sospiro di sollievo e facendosi spazio tra i giovani si trovò un posto in prima fila. 

Dal fondo della strada si vide salire un grosso Suv bianco che procedeva suonando ripetutamente il clacson, facendo fuggire al suo passaggio nugoli di uccelli. Tutti, in una sorta di tensione e trepida attesa erano ansiosi di vedere cosa stesse succedendo. 

Ancora strombazzando il SUV imboccò il viottolo con andatura più lenta, fermandosi proprio dinnanzi il professor Truman, uscito in quel momento nello spiazzo selciato che fronteggia il castello, il quale rimase praticamente di sasso, allorché dall'abitacolo vide uscirne un omone dalle dimensioni e fattezze impressionanti. Costui indossava una giacca in velluto di colore verde sopra una camicia bianca aperta sul collo, facendo sfoggio di un raffinato panama bianco portato sulla testa disinvoltamente. Sconcertato oltremodo, Truman fece caso che non appena l'omone era scesdal SUVil veicolo si era sollevato da terra perlomeno di venti centimetri. Con una espressione di stupore permanente sul viso stette li per li per accennare qualcosa quando dalla portiera posteriore del taxi vide sbucare l’amico Donald, il quale con l'aria più disincantata del mondo gli si rivolse, dicendo: « Ehi Frank, non dirmi che mi davate per disperso ?!» 

«Ehilà professore, bentornato! » intonarono gli studenti ad unisono non appena lo riconobbero. Donald alzò la testa e li vide festanti e allegri alle finestre in basso. Li salutò agitando la mano e quando scorse tra loro la fedele Evelyn, le regalò un plateale inchino, esortando tutti a sorridere. 

« Che magnifica accoglienza! » disse allorquando Truman gli fu accanto. «Tutto bene Frank ?»  domandò prendendolo sottobraccio. «Vieni, voglio presentarti il mio amico Yakima, un autentico portento della natura!» 

«Ah, non ho alcun dubbio!» rispose il collega con una espressione stralunata 

Yakima, i cui movimenti lenti ma possenti erano seguiti con grande attenzione da tutti gli astanti, trasse dal portabagagli del Suv dei pesanti borsoni, alzandoli come fossero dei semplici fuscelli. Donald si occupò invece di saldare la corsa e salutare l'autista al quale senza troppi preamboli consigliò di cambiare l'auto, informandolo che un pieno di *bioetanolo per un SUV equivale a sfamare un uomo per un anno intero. Costui, timoroso e ammutolitoprima di congedarsi, volle dare un’ultima occhiata al fenomenale  personaggio asiatico che sino pochi minuti prima era stato seduto dietro di lui, e senza aggiungere altro salì in macchina partendo con una certa sollecitudine per la capitale.

Presentato Yakima al collega, il redivivo Donald fece strada, avviandosi per primo verso l’entrata del maniero. Yakima si era infilato sottobraccio i bagagli, tenendo a tracolla dei pesanti borsoni. Nel superare il portale, il colosso cinese si era soffermato ad osservare con interesse il massiccio battiporta a testa di cavallo in ottone, che tanto avrebbe desiderato il compianto Luc Brady, in quanto era l’emblema di famiglia. 

Oltrepassato il breve cortile, si accomodarono nella sala con il camino, dove vennero raggiunti immediatamente dai ragazzi e da Evelyn Martin, cui Donald dimostrò il suo affetto con un abbracciò sincero e affettuoso. E com’era prevedibile, Yakima si trovò subito accerchiato dall’entusiasta raggruppamento, la cui intenzione era sapere tutto su di lui cominciando col porgli una serie di domande una dietro l'altra. Ma lui era un tipo di poche parole e difficilmente avrebbe risposto ai loro quesiti. Entrambi i due colleghi fondatori sorrisero nel vedere l'interesse che stava suscitando e Frank chiese all’amico dove lo avesse incontrato. Donald, che in un cuor suo moriva dalla voglia di raccontare come lo aveva conosciuto, con un colpetto di tosse chiese l'attenzione,  prendendo la parola.
  
«Vi dirò io qualcosa di lui» disse nel chiacchiericcio che andava smorzandosi, ben sapendo che i giovani ci vanno a nozze con le storie che escono fuori dalla normalità. Tutti si ammutolirono e ciascuno si accomodò come meglio poté.

«Ebbene, se non fosse stato per il qui presente Yakima, probabilmente ora non sarei qui a parlare con voi » soggiunse con voce pacata, posandogli la mano sulla  possente spalla, seduto, non proprio comodamente, sulla poltrona accanto alla sua. «La prima volta che l'ho visto è accaduto in un pub malfamato, in una delle tante strade sterrate di Mombasa in Kenya, dove ero entrato per chiedere soltanto un' informazione. Era attorniato da un gruppo di cinesi malintenzionati coi quali stava discutendo piuttosto animatamente. Alcuni di loro però erano armati di pistola e coltello e stavano facendo di tutto per  catturarlo e siccome fuori in strada avevo la jeep in noleggio d'appena dieci minuti, intuendo che quelli non avevano alcuna intenzione di desistere...  emisi un fischio acuto e prolungato; lui si voltò e gli feci cenno di seguirmi. Così, dopo essersi preoccupato di stenderne un paio a suon di sberle, corremmo fuori in tutta fretta, spiccando entrambi un salto sulla jeep e dato che avevo lasciato il motore acceso potei partire a razzo, senza dare a quella banda di fanatici il tempo di realizzare quale direzione avessi preso. Per fortuna, quella volta tutto filò liscio!»
  
Nel salone era calato un silenzio carico di tensione e tutti ascoltavano con attenzione il racconto del professore con una espressione ricca di pathos. Ma nulla sfuggiva loro circa Yakima, il quale pareva stesse contemplando lo spettacolo della natura espresso in un dipinto ritraente il sole al tramonto sul mare, appeso alla parete a lui di fronte. Ai ragazzi rimase impresso il suo sguardo fermo e profondo, che aveva un che di magnetico.

Dopo aver bevuto del tè freddo, servitogli da un raggiante Michael, Donald riprese a raccontare. 
«Yakima fa parte dell'etnia Mulao e proviene da una contea situata nella regione autonoma di Guangx Zhuang, nel sud della Cina. L'etnia Mulao è una minoranza etnica che abita principalmente nelle zone montane dedicandosi  prevalentemente all'agricoltura... Ebbene, per un fatto che io non conosco e non ho mai voluto insistere con lui per sapere di più, mi sono sentito in dovere di aiutarlo, come lui in seguito ha fatto con me in Niger. La mia ragazzi è una scelta tutta personale poiché se lo conosceste come ho avuto modo di conoscerlo io… capireste che una persona di tale levatura non potrebbe nuocere senza che lo si costringa a farlo. Del resto quanto ho fatto lo avrei fatto per chiunque si fosse trovato in difficoltà, come sono assolutamente certo avrebbe fatto lui. Dico bene mon amì ? » concluse, dandogli una leggera pacca sulla spalla. 

Ma Yakima era bello volato nel mondo dei sogni e lo si poteva capire sentendolo ronfare. «Bene, mi pare che il nostro gradito ospite abbisogna starsene in santa pace… e noi ora lo lasciamo tranquillo !» disse Donald tirandosi su, mentre Truman e la signorina Martin esortavano i ragazzi ad uscire. «D’altronde con tutti i chilometri che abbiamo macinato trovo del tutto normale che un colosso del suo stampo possa sentire l'esigenza di riposare. E' umano accidenti!» soggiunse, lasciando la sala del camino. 
  
*100 litri di bioetanolo si ottengono da 266 kg di mais.

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