L'amuleto della libertà 4 - racconto sul web
PARTE PRECEDENTE
L'indomani incontrandosi in refettorio di buon'ora, tutti i commenti vertevano sullo stesso argomento. Sebbene si fossero tranquillizzati per il ritorno del professore, gli studenti si ritrovarono concordi nel giudicare Yakima da loro studiato, visionato e radiografato la sera precedente, una creatura non comune. A molti non era passato inosservato che sotto quella montagna di nervi e muscoli potesse celarsi una persona dal temperamento mite e con una carica interiore straordinaria. Il fatto di essere poi un tipo taciturno ma vigile e accorto allo stesso tempo, fu motivo di un ulteriore apprezzamento. Tuttavia, il fulcro centrale del loro discorrere protrattasi per buona parte della notte, era racchiuso in quella sorta di mistero che aleggiava attorno all'amuleto che egli portava celato sotto la camicia.
«Per me deve essere fatto con l'ossidiana nera» suggerì Margaret che teneva a casa un talismano a forma di Buddha dello stesso materiale.
« Che roba è ? » sbottò Maciste alle prese con un carica batterie che non voleva saperne di funzionare.
«E’ una roccia eruttiva formata quasi interamente da rocce di materie vetrose...» intervenne da par suo Furio Molinari sorseggiando un tè.
«Ben detto! Un vetro vulcanico formato grazie al velocissimo raffreddamento della lava.» aggiunse da grande
appassionato di geologia Alain Rulem sistemandosi la sciarpa di seta attorno al collo.
«Dalle mie parti nei tempi antichi, certe tribù indiane usavano l'ossidiana nera per farne coltelli, punte di lance e frecce » annotò con orgoglio il taciturno Alden, originario dell’Arizona e fiero conservatore delle sue radici.
«Ben detto! Un vetro vulcanico formato grazie al velocissimo raffreddamento della lava.» aggiunse da grande
appassionato di geologia Alain Rulem sistemandosi la sciarpa di seta attorno al collo.
«Dalle mie parti nei tempi antichi, certe tribù indiane usavano l'ossidiana nera per farne coltelli, punte di lance e frecce » annotò con orgoglio il taciturno Alden, originario dell’Arizona e fiero conservatore delle sue radici.
«Accidenti, non riesco proprio a immaginare a cosa potrebbe assomigliare quel talismano !» esclamò insofferente Aristovoulos Doukas, un greco dell'isola di Mykonos il cui interesse per la crescita dei livelli dei mari causato dall'innalzamento della temperatura, lo aveva indotto a partecipare al soggiorno estivo.
Ebbene, da quanto si era saputo pare si debba proprio all’amuleto che Yakima teneva appeso al petto se a Echoswood fu concesso uno speciale salvacondotto che gli aveva consentito di lasciare sano e salvo il Niger! Questo lo si era appreso da Giovanni Toriello, il golden boy di Fabriano che la sera precedente, prima di andarsi a coricare, aveva udito casualmente una conversazione in cui il professor Echos svelava all'amico Truman come fosse uscito indenne da quella situazione.
«Sembra che Yakima prima della partenza dal Niger si sia incontrato con qualcuno in una stanzetta riservata dell'aeroporto internazionale di Niamey, in Niger e che gli sia bastato mostrare l'amuleto affinché questi agisse come una sorta di password, aprendo loro porte insperate.» disse concitato piluccando uno a uno i chicchi d'uva di un grappolo davanti a se, lasciando tutti ammutoliti.
«Sembra che Yakima prima della partenza dal Niger si sia incontrato con qualcuno in una stanzetta riservata dell'aeroporto internazionale di Niamey, in Niger e che gli sia bastato mostrare l'amuleto affinché questi agisse come una sorta di password, aprendo loro porte insperate.» disse concitato piluccando uno a uno i chicchi d'uva di un grappolo davanti a se, lasciando tutti ammutoliti.
«Questa poi!» esclamò sconcertato Alain, il parigino. «Se debbo dirla come la penso, non potrei che... »
«SSS...» fece Toriello zittendolo di colpo allorquando vide entrare nella sala mensa il professor Truman e la signorina Martin.
«Ragazzi, debbo comunicarvi una variazione del programma» furono le prime parole di quest’ultima, chiamando a raccolta i giovani. «Purtroppo la prevista visita al laboratorio del Cern del Gran Sasso, che avremmo dovuto fare... è saltata per motivi del tutto indipendenti da noi.» disse coincisa e formale, come era suo solito.
«Eh no!» si lamentò qualcuno.
«Ragazzi, debbo comunicarvi una variazione del programma» furono le prime parole di quest’ultima, chiamando a raccolta i giovani. «Purtroppo la prevista visita al laboratorio del Cern del Gran Sasso, che avremmo dovuto fare... è saltata per motivi del tutto indipendenti da noi.» disse coincisa e formale, come era suo solito.
«Eh no!» si lamentò qualcuno.
«Niente più visita al Cern! » reagì qualcun altro.
«Però non vale! » si accodò sconsolato Furio Molinari e sull'identica solfa seguirono tutti gli altri...
Ora, il tempo che restava bisognava utilizzarlo in altro modo. Così, a parte qualche viaggetto nella capitale, accolto sempre con gioia dai convenuti, le giornate si sarebbero svolte in aula visionando filmati, documentari, promuovendo forum su Internet, argomentando su desertificazione, energie rinnovabili, mutamenti climatici... Senonché l'ingresso in scena di Yakima, in un certo senso, aveva migliorato la loro prospettiva, mentre Truman, preso dal forte senso di responsabilità che lo caratterizzava o forse dal desiderio di non lasciarli del tutto delusi, fece loro una proposta, invitandoli nella sua casa giù a valle la domenica successiva.
L’invito fu ben accolto; sarebbe stata l’occasione per dare un’occhiata alla cantina di cui il professor Truman andava molto fiero. Si mormorava che grazie ad Internet fosse entrato in possesso d'una antica ricetta etrusca che insegnava l'arte di produrre il vino, anche se poi ogni qual volta gli si chiedevano delucidazioni, per risposta ne ricevevano un sorriso sornione.
L’invito fu ben accolto; sarebbe stata l’occasione per dare un’occhiata alla cantina di cui il professor Truman andava molto fiero. Si mormorava che grazie ad Internet fosse entrato in possesso d'una antica ricetta etrusca che insegnava l'arte di produrre il vino, anche se poi ogni qual volta gli si chiedevano delucidazioni, per risposta ne ricevevano un sorriso sornione.
Il resto della giornata si svolse in aula in un'interessante incontro con il ritrovato professor Echos. Non accadeva da mesi e molti dei giovani non avevano mai avuto modo d’incontrarlo. Il che fu per lui un'occasione da non perdere per intavolare subito con loro un argomento scottante.
« Come credo alcuni di voi già sappiano, di recente è stato scoperto qualcosa che può essere definito benissimo come il settimo continente della Terra.» esordì spostando lentamente lo sguardo sui presenti che si erano accomodati ai tavolini.
«Il settimo continente!? E dove si trova?» domandò eccitato Larry dalla terza fila.
«Il settimo continente!? E dove si trova?» domandò eccitato Larry dalla terza fila.
«E' stato localizzato a 500 miglia al largo della California, nell'Oceano Pacifico e si pensa possa essere grande due volte il Texas o, come pensano alcuni, addirittura quanto gli Stati Uniti, cioè 10 milioni di chilometri quadrati.» disse sollevando il righello sulla grande carta geografica.
«Caspita, più grande del Brasile!" esclamò Furio Molinari, assai interessato all'argomento.
«L'ha scoperto per caso un certo Charles Moore una dozzina d'anni fa mentre veleggiava al largo del Pacifico nord orientale seguendo una rotta di solito evitata dai pescatori per la scarsa presenza di vita marina» svelò il professore voltandosi verso l'aula. «In verità, se ne conosceva l'esistenza sin dagli anni 50, anche se poi a Moore va il merito, nell'era del web, di averne parlato per primo. Non pensiate però che sia un continente come gli altri. Magari lo fosse!» soggiunse, amaramente. « Si tratta invece di una zona amorfa, senza contorni distinti, che si sposta a seconda della stagione, fra i 23 e i 37 gradi di latitudine nord, per poi curvare verso sud e andare incontro a El Niño, il fenomeno meteorologico che nasce nelle acque del Pacifico tropicale e che ha importanti conseguenze per il clima di tutto il pianeta. Ma di questo ne parleremo in seguito. » precisò, tornando alla mappa, indicando con il righello la zona attorno all'equatore.
«Un continente che si muove, forte !» esclamò incredulo Toriello.
« Esatto, un continente che si muove! Solo che invece di essere un pezzo di terraferma solido e compatto, su cui ci si può camminare sopra per quanto la superficie è diventata uniforme, si tratta di un enorme ammasso di rifiuti nota come Great Pacific Garbage Patch, una vera isola di plastica, tenuta su da un gioco di correnti vorticanti che si muovono tranquillamente in questa zona del Pacifico che ho cerchiato in rosso.» disse mostrandola sulla carta. «Moore del Pacific Trash Vortex ha svelato al mondo la predominanza di plastica, ma questo vortice ha origini naturali, solo che sino a qualche decennio fa si trattava esclusivamente di un agglomerato di tronchi, erbe, alghe... Sembra che questo punto funga da accumulatore dei residui della civilizzazione» spiegò, indicando con il righello. «Ebbene, qui convogliano i rifiuti sintetici di mezzo mondo trasportati dal North Pacific
Subtropical Gyre, una enorme massa di aria calda che si forma all'Equatore e che discende lenta a spirale in senso orario.»
Subtropical Gyre, una enorme massa di aria calda che si forma all'Equatore e che discende lenta a spirale in senso orario.»
«E dove vanno a finire questi rifiuti ?» chiese impaziente Omar, un egiziano mite e tranquillo, ospite fisso al castello come Michael.
«Be', restano lì fino a che non sopraggiunge una tempesta a smuovere le acque e allora i rifiuti vagano nell'oceano, arrivando sulle coste delle Hawaii, dove anche se si ripuliscono le spiagge, la plastica continua ad arrivare. Sembra che qualunque cosa galleggi, non importa da quale parte dell'oceano provenga, dopo un lento peregrinare nelle acque per una dozzina e più di anni... concluda qui il suo viaggio.» spiegò Echoswood, rendendosi conto di quanto l'argomento li avesse affascinati.
« Accidenti!» fece sbalordito Toriello con gli occhi puntati sulla carta geografica.
«E non si può sapere da dove arriva tutta questa plastica ? » domandò Pamela, figlia di un possidente newyorkese a cui piaceva trascorrere l'estate in Italia.
«In effetti, tutta questa plastica ha inizio con un percorso a terra, prosegue scendendo per fiumi e ruscelli, sfociando poi in mare aperto in una massa formata da pezzi riconoscibili ma soprattutto da frammenti infinitesimali, che non scompaiono ma diventano sempre più piccoli. Milioni di tonnellate che il mare ha inghiottito ma mai ingerito!».
«Ma non è possibile conoscere l'ampiezza reale di quest'isola di plastica? » chiese Tobia, un giovane dall'aspetto paffuto e colorito, seduto due posti dietro Toriello.
«Pensate, nel corso dell'esplorazione di questa enorme zuppa di plastica, che sembra mescolata da un invisibile cucchiaione, il gruppo di ricerca fondato da Moore, il quale come noi si prefigge di risvegliare le coscienze, ha potuto appurare che in mare restano solo frammenti verdi, bianchi, blu e neri, ma non quelli rossi, gialli e arancio. Si ipotizza che siano stati scelti da animali la cui alimentazione si basa sul colore.» svelò il professore avvertendo stupore e sbalordimento in tutti.
«Pazzesco, è un problema molto serio!» osservò Maciste
sbigottito.
Continua...
Man mano il racconto va avanti viene aggiornato sul sito il professor echos.com,
dove potrete leggerlo per intero quando sarà terminato... cliccando QUI
Immagini: steemit.com - www.amazon.it - animalivolanti.xyz
«Ma non è possibile conoscere l'ampiezza reale di quest'isola di plastica? » chiese Tobia, un giovane dall'aspetto paffuto e colorito, seduto due posti dietro Toriello.
«Purtroppo no! Pare sia impossibile intercettare dai satelliti, poi è lontano dalle rotte di navigazione e galleggia poco sotto la superficie delle acque. Anzi, secondo il capitano Mooore, il peggio deve ancora essere scoperto! Perciò ora si è messo in testa di capire l'esatta estensione e la concentrazione di queste aree mai esplorate prima. Va rilevato che la quantità di plastica è sei volte superiore a quella del plancton... Il problema sta nel fatto che la maggior parte dei detriti marini sono biodegradabili... » proseguì assorto passeggiando tra i banchi.
«La plastica, al contrario, si disintegra nel mare in piccolissimi frammenti, alcuni dei quali raggiungono dimensioni di singole molecole che finiscono inevitabilmente nello stomaco di molluschi, pesci e volatili che la scambiano per cibo e conseguentemente entra nel ciclo alimentare con devastanti conseguenze.»
«Allucinante!» apostrofò Pamela rabbrividita.
«Già proprio così! Eppure in questa vasta zona di mare» disse, tornando alla carta geografica «confluisce di tutto: spazzolini da denti, bottiglie, accendini, siringhe, guanti, posaceneri, pompe per bicicletta, attrezzi giapponesi per allevare le ostriche, buste cinesi, cotton fioc, ombrelli indiani... Nello stomaco di un albatros è stato trovato persino un pezzo di plastica datato 1940... Senza contare che ci sono altre cose che entrano nel circolo alimentare più facilmente della plastica ma non lo vedi.»
«Fortuna che rimane tutto in superficie. » replicò Tobia, che ascoltava la lezione con vivo interesse.
«Be', questo è da vedere! E lo si capirà soltanto quando ci sarà un sottomarino robotico capace di raggiungere le alte profondità, come ad esempio i dieci chilometri della Fossa delle Marianne nell'Oceano Pacifico, il luogo più remoto e inaccessibile del pianeta.»
«E' disumano, professore!» intervenne ancora una volta Pamela con un senso di disgusto dipinto sul viso.
«Pensate, nel corso dell'esplorazione di questa enorme zuppa di plastica, che sembra mescolata da un invisibile cucchiaione, il gruppo di ricerca fondato da Moore, il quale come noi si prefigge di risvegliare le coscienze, ha potuto appurare che in mare restano solo frammenti verdi, bianchi, blu e neri, ma non quelli rossi, gialli e arancio. Si ipotizza che siano stati scelti da animali la cui alimentazione si basa sul colore.» svelò il professore avvertendo stupore e sbalordimento in tutti.
«Pazzesco, è un problema molto serio!» osservò Maciste
sbigottito.
«L'inquinamento plastico negli oceani è un argomento enorme che richiederebbe un'azione immediata» aggiunse Pamela sdegnata.
«Eh sì, la plastica è diventata una emergenza planetaria!» ribadì il professore tornando alla sua postazione. «E
sebbene la tecnologia offra la speranza di uno smaltimento più illuminato, il tempo stringe e questa enorme isola di plastica, la quale rappresenta a meraviglia la nostra era consumistica, è destinata a raddoppiare le sue dimensioni entro il 2030, ed allora...»
sebbene la tecnologia offra la speranza di uno smaltimento più illuminato, il tempo stringe e questa enorme isola di plastica, la quale rappresenta a meraviglia la nostra era consumistica, è destinata a raddoppiare le sue dimensioni entro il 2030, ed allora...»
«... Allora saremo tutti sommersi dai rifiuti!» concluse Pamela con profonda tristezza.
Continua...
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